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Parte terza 133

glaciale — io non ho il diritto di dirvi queste cose. Altri forse lo ha. Voi non sapete che farvi della mia stima... della mia amicizia... del mio affetto...

Un singulto profondo, straziante, lacerò il petto di Lalla: un singulto solo. Ella, sempre immobile, con gli occhi chiusi, la bocca stretta, piangeva silenziosamente, senza scosse, senza sussulti. Le lagrime le sgorgavano di sotto le palpebre, le rigavano il volto, le cadevano sul collo; il volto impallidiva ed arrossiva, come se un fiotto di sangue vi salisse per abbandonarlo dopo un momento.

— Che avete? — chiese egli, turbato sempre più. — Cresce forse il vostro male?

Lalla gli accennò di no e gli indicò la taschettina esterna del suo abito, dove era il fazzoletto. Egli lo prese e lievemente lo passò su quelle guance smunte, per asciugarle. Il pietoso ufficio parve la consolasse, un sorriso buono comparì sulle sue labbra impallidite; le lagrime avevano dovuto ammorbidire l’acutezza del suo dolore. Egli si arrestava a guardarla, col fazzolettino in mano, leggero, profumato, bagnato di lagrime: non osava rimetterlo nella taschetta dell’abito di lei; non osava serbarlo. Quella pietà affettuosa per la giovane ammalata lo agitava profondamente; l’ambiente strano, fittizio, di quella camera illuminata dalla lampada in pieno meriggio, il Cristo che si squarciava il seno, il cloralio sulla mensola, alcuni abiti gettati a caso sopra una sedia, il lettino perduto in una nebulosità vaporosa, tutte queste cose cominciavano a confondersi nella sua mente.

— È qui che soffrite di più? — chiese egli, indicando la fronte.

Ella prese una sua mano e se la posò sulla fronte. Una fronte fredda. Alcuni ricciolini smarriti rimasero