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Parte terza 129

dirette a lui, Marcello Sangiorgio; lusingavano il suo amor proprio, nulla più. Non lo infastidivano, non lo dilettavano, non lo addoloravano; non agivano direttamente su lui, lo lasciavano indifferente. Questa donna dice d’amarmi — pensava talvolta tra sè — ma non deve essere vero, perchè non arriva neppure a commuovermi. — E la dimenticava. Sapeva bene che un giorno qualche cosa di serio sarebbe accaduto; ma egli non voleva mai fermarsi troppo sull’avvenire.

Quella mattina lesse la lettera giornaliera sbadatamente. Colei che gli scriveva era in collera; non lo aveva visto da dieci giorni. I teatri erano chiusi, la città si empiva di provinciali che venivano per i bagni di mare, molte famiglie aristocratiche erano già partite per la campagna, ella avrebbe dovuto partire presto, nella prima quindicina di agosto. La villeggiatura le sarebbe parsa desolata, senza la speranza di vederlo. Se non avesse giurato a sè stessa di restare ignota, avrebbe ceduto alla irresistibile tentazione di rivelarglisi...

Marcello leggendo, ebbe un piccolo sorriso di modestia appagata. E così arrivò sino in fondo alla lettera: ma in fondo alla lettera, la sua corrispondente aveva scritto:

«.... Meglio non conoscermi. Voi siete infelice: voi finirete per amarmi. La duchessa di Sangiorgio non vi ama. Lo so, perchè me lo ha detto lei.»

Il sorriso gli morì sulle labbra e l’angoscia dei suoi cattivi giorni lo strinse al cuore. No, no, egli non poteva reggerci. La sua miseria era troppo grande, troppo grande. Gliela gettavano in viso come un insulto, come un rimprovero. Era addolorato ed umiliato; si sentiva offeso dalla pietà di quella donna....

Sul tavolo era un’altra lettera, ma piccina; un biglietto.