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128 Cuore infermo

Sul principio, queste lettere interessavano vivamente colui che le riceveva. Quei divagamenti di uno spirito annoiato e disoccupato, quei lamenti indefiniti, quelle aspirazioni poetiche, lo seducevano come la lettura di un bel libro dalle pagine attraenti. Per qualche tempo credette in un’amica sconosciuta, lontana o vicina, lasciandosi vincere da quelle morbide tenerezze che sono gli errori del sentimento; si cullò in quelle illusioni, che si crea l’anima nei suoi vari tentativi di sottrarsi alla vita corporea; sognò quelle mistiche amicizie, di cui è stata ammalata ogni eletta fantasia. Ma fu breve periodo. L’aridità, la falsità di quello che ella scriveva, di quello che egli sentiva, gli si rizzarono innanzi. Non se ne dolse neppure: ora leggeva quelle lettere solo per curiosità, per sapere se quella donna si burlasse di lui o di se stessa; nè si poteva giudicare tanto facilmente. Ella era volubile, suo malgrado, forse. Si contraddiceva senza accorgersene. A volte sembrava in buona fede: a volte una squisitissima civetteria, la civetteria del sentimento, la peggiore, trapelava dalle sue parole. Marcello ne sorrideva, ma di nulla era certo. Sapeva soltanto una cosa: che necessariamente quella donna avrebbe sollevato ad uno ad uno tutti i veli che la nascondevano a lui, che tutto quell’apparato sentimentale — recitasse ella la commedia o dicesse la verità — non l’avrebbe condotta che all’eterno risultato di tutti gli amori: il semplice amore, l’amore.

Per questo non tentò di fare alcuna ricerca, non si occupò minuziosamente a raccogliere indizi come avrebbe potuto. In quella avventura egli poteva rimanere passivo, attendendo che si svolgesse solitariamente: la sua indolenza ne profittò. Seguiva con un certo interesse il progresso lento e sicuro di quel fatto umano, ma da semplice spettatore. Pareva che quelle lettere non fossero