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120 | Cuore infermo |
tendine del balcone, con Marcello che la pregava ancora con gli occhi.
— Venite — egli disse — venite a sedervi dove eravamo.
Lalla non rispose. Marcello si portò una mano di lei sotto il braccio e la ricondusse al suo posto. Ma invece di sederle accanto come prima, prese una seggiola rotonda, quasi uno sgabello, e sedette davanti a lei. Così stettero due minuti; poi lui, quasi per istinto, le riprese una mano e la ritenne fra le sue. Cercava il contagio, affascinato da quel male sconosciuto. Lalla lo lasciava fare, quasi non se ne accorgesse. Nella camera, come si avanzava il pomeriggio, con le doppie porte, i balconi chiusi, le cortine disciolte, l’aria diventava calda, pesante.
— Come siete lontana, lontana di qui — mormorò Marcello.
— Meglio — rispose ella, con voce recisa.
— Infatti, lo merito. Spesso vi dispiaccio.
— Non ne siete capace — soggiunse Lalla, con accento dubbio.
Gli parlava a fior di labbra, con la testina appoggiata alla spalliera del divano e gli occhi che guardavano il soffitto.
— Volete che io me ne vada?
— Se questo è il vostro desiderio, seguitelo.
— Non è il mio desiderio, ma può essere il vostro.
— È troppo piccola cosa, perchè io possa desiderarla.
Egli impallidì, ferito da questa risposta. Ma poc’anzi anch’egli aveva crudelmente risvegliato le memorie di quella donna.
— Vi sarà, come si dice, il ballo primaverile in casa Filomarino? — chiese ella d’un tratto.