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Parte terza 119

mio salotto, persone che non mi furono presentate, che non conosco punto.

— Pensavo a Paolo. È tempo che non lo vedo. Sono inquieto per lui.

— Generosa inquietudine — disse Lalla con un colpettino di tosse. — Ma egli vi vede, caro duca. Sa quando venite e quando non ci venite; capirete, è geloso di voi.

— Ve l’ha detto? — chiese vivamente Marcello.

— Ed a voi?

— Una volta sola.

— Vedete bene: una razza insopportabile questi gelosi!

— Non comprendete voi la gelosia, signora?

— Oh! profondamente — disse lei a voce bassa e tremante, con un brivido che la fece allungare nel suo angoluccio.

— ... Eravate gelosa, allora?

— Non mi parlate di quel tempo, Marcello, non voglio — gridò ella con un subitaneo scoppio di voce, balzando in piedi per andarsene.

— No, no, Lalla, vi scongiuro di perdonarmi — disse lui, raggiungendola, trattenendola.

Le aveva prese le mani, le stringeva nelle sue, la guardava, mentre ella tremava tutta, col viso sconvolto. Le mani lunghette, magroline, erano quelle di una febbricitante; pure Marcello provava un senso di dolcezza a lasciarsi comunicare quel calore malaticcio. Era preso dal desiderio di quella febbre, ora lenta, ora furiosa, che rinfresca ed abbrucia il sangue, e stringeva quelle mani che dovevano dargliela, non potendo abbandonarle, socchiudendo gli occhi al piacere doloroso di quel contatto. Lalla, chinato il capo, si calmava. Una inerzia la invadeva tutta; non apriva le labbra, non si muoveva. Pareva si dimenticasse di essere là, in piedi, presso le