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Parte terza | 109 |
era dappertutto: dappertutto un lusso sobrio, squisito, senza eccessi, senza follie; un gusto ragionevole, illuminato e sereno.
Ella non lasciava mai dimenticati i suoi fazzoletti di trina sopra i divani; quando aveva finito di suonare, serrava il pianoforte, chiudeva il quaderno della musica e lo riponeva al suo posto, sullo scaffale; quando lasciava un libro, intercalava tra due pagine il segnacarte, lo chiudeva e andava a riporlo in libreria; il suo ricamo, una ricca stola di seta bianca trapunta in oro, terminato il lavoro di una mezz’ora, veniva coperto con la carta velina, con la tovaglina di tela e andava a riposare nel cestino da lavoro; mancava sul tavolino l’albo delle fotografie, galleria di amici, di parenti, di semplici conoscenze; mancava l’albo dei ricordi, in prosa, in versi, che segnano un pensiero, un sentimento fugace, ma fermato sulla carta, come per impedirgli il volo; mancava l’albo dei fiori disseccati, incollati sul candido cartoncino, sotto cui le signore amano scrivere una data, un nome, una misteriosa iniziale. La duchessa Revertera non si dilettava in queste molteplici manifestazioni di una fantasia donnesca disoccupata. Inclinava naturalmente all’ordine, alla regolarità, fors’anche alla monotonia che le assicuravano non pertanto la tranquillità da lei ricercata.
Tutto questo era un po’ freddo, forse. La vita, invece di restringersi nell’intimità, si allargava in una espansione tutta esteriore. Vi era lì dentro un’apparenza maestosa, amabile, sorridente, ma nulla d’interiore, di vissuto. Le parole si perdevano nelle stanze troppo ampie; si aveva quasi soggezione d’intesservi uno di quei graziosi dialoghi, efflorescenza gentile del pensiero, vagabondaggio dell’anima; non avevano misteri le ombre delle cortine; non avevano idee nascoste le larghe por-