L’altra, Beatrice, la lasciava parlare, rispondendole ad intervalli, sorridendo un poco, senza turbarsi; la sua bella figura posava in una calma sicura, in una tranquillità riflessiva. La testa era vigorosa di linee: le treccie di capelli castani si aggruppavano in un nodo scultorio e lasciavano libera la nuca bianca, rotonda, leggiermente grassa, mettendovi una riga nera netta ed uguale, che si rialzava in un arco voluttuoso dietro le orecchie; lasciavano libera una fronte limitata, stretta alle tempie. L’arco delle brune sopracciglia si spianava dolcemente, lasciando in mezzo ad esse quella lievissima ombra che è l’indizio della bellezza; lunga e profonda l’incassatura dell’occhio; sulla pelle sottile delle palpebre quella reticola finissima di fibrille rosee, che dànno tanta delicatezza; la pupilla grigia, quasi venata di azzurro, gittava una irradiazione sulla cornea di un bianco caldo, quasi luminoso; lo sguardo era limpido, freddo, chiaro, mai vagante, mai rammorbidito dal velo delle lagrime; il profilo fine, diritto, ma non severo; le labbra vivide, arcuate, sollevate agli angoli in una sinuosità attraente, l’inferiore avanzato, quasi ironico; il mento di disegno fermo, un po’ lungo, dando al volto un’ovalità intelligente pensierosa. Non era molto alta, ma pareva. Il corpo era giunto al suo massimo sviluppo di vigorìa e di grazia, ma l’energia delle ricche forme non aveva nulla di tumultuoso; la salute giovanile non iscoppiava come una vegetazione capricciosa, ruvida ed invadente, ma fioriva placidamente, si allargava nel roseo vivo del colore, nella pienezza del collo, nella sodezza vellutata, nutrita, quasi fragrante della carnagione. La linea non si spezzava crudelmente con quelle asperità illogiche che urtano la vista, ma cadeva, si arrotondava, si fondeva in un’armonia scevra di qualunque dissonanza. La mano sola si dipartiva dall’ordine quasi sta-