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lo spazzacamino 21

chè piangi, — gli ripeterono le ragazze. E allora egli levò il viso dal braccio, — un viso di bambino, — e disse piangendo che era stato in varie case a spazzare, dove s’era guadagnato trenta soldi, e li aveva persi, gli erano scappati per la sdrucitura d’una tasca, — e faceva veder la sdrucitura, — e non osava più tornare a casa senza i soldi. — Il padrone mi bastona, — disse singhiozzando, e riabbandonò il capo sul braccio, come un disperato. Le bambine stettero a guardarlo, tutte serie. Intanto s’erano avvicinate altre ragazze grandi e piccole, povere e signorine, con le loro cartelle sotto il braccio, e una grande, che aveva una penna azzurra sul cappello, cavò di tasca due soldi, e disse: — Io non ho che due soldi: facciamo la colletta. — Anch’io ho due soldi, — disse un’altra vestita di rosso; — ne troveremo ben trenta fra tutte. — E allora cominciarono a chiamarsi: — Amalia! — Luigia! — Annina! — Un soldo. — Chi ha dei soldi? — Qua i soldi! — Parecchie avevan dei soldi per comprarsi fiori o quaderni, e li portarono, alcune più piccole diedero dei centesimi; quella della penna azzurra raccoglieva tutto, e contava a voce alta: — Otto, dieci, quindici! — Ma ci voleva altro. Allora comparve una più grande di tutte, che pareva quasi una maestrina, e diede mezza lira, e tutte a farle festa. Mancavano ancora cinque soldi. — Ora vengono quelle della quarta che ne hanno, — disse una. Quelle della quarta vennero e i soldi fioccarono. Tutte s’affollavano. Ed era bello a vedere quel povero spazzacamino in mezzo a tutte quelle vestine di tanti colori, a tutto quel rigirìo di penne, di nastrini, di riccioli. I trenta soldi c’erano già, e ne venivano ancora, e le più piccine che non avevan denaro, si facevan largo tra le grandi porgendo i