Pagina:Cuore (1889).djvu/317


32 gradi 305

scire per lavarsi il viso, si fa scrollare e pizzicottare dai vicini. Ma tanto questa mattina non poté reggere e s’addormentò d’un sonno di piombo. Il maestro lo chiamò forte: - Coretti! - Egli non sentì. Il maestro, irritato, ripeté: - Coretti! - Allora il figliuolo del carbonaio che gli sta accanto di casa, s’alzò e disse: - Ha lavorato dalle cinque alle sette a portar fascine. - Il maestro lo lasciò dormire, e continuò a far lezione per una mezz’ora. Poi andò al banco da Coretti e piano piano, soffiandogli nel viso, lo svegliò. A vedersi davanti il maestro si fece indietro impaurito. Ma il maestro gli prese il capo fra le mani e gli disse baciandolo sui capelli: - Non ti rimprovero, figliuol mio. Non è mica il sonno della pigrizia il tuo; è il sonno della fatica.


MIO PADRE

Sabato, 17.

Non certo il tuo compagno Coretti, né Garrone, risponderebbero mai al loro padre come tu hai risposto al tuo questa sera. Enrico! Come è possibile? Tu mi devi giurare che questo non accadrà mai più, fin ch’io viva. Ogni volta che a un rimprovero di tuo padre ti correrà una cattiva risposta alle labbra, pensa a quel giorno, che verrà immancabilmente, quando egli ti chiamerà al suo letto per dirti: - Enrico, io ti lascio. - O figliuol mio, quando sentirai la sua voce per l’ultima volta, e anche molto tempo dopo, quando piangerai solo nella sua stanza abbandonata, in mezzo