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la sordomuta 295

Il padre aveva capito; ma pareva più meravigliato di quando non capiva. - E insegnano a parlare in quella maniera? - domandò dopo un minuto di riflessione, guardando la maestra. - Hanno la pazienza d’insegnare a parlare a quella maniera, a poco a poco, a tutti quanti? a uno a uno?... per anni e anni?... Ma loro sono santi, sono! Ma loro sono angeli del paradiso! Ma non c’è al mondo una ricompensa, per loro! Che cosa ho da dire?... Ah! mi lascino un poco con la mia figliuola, ora. Me la lascino cinque minuti per me solo.

E tiratala a sedere in disparte cominciò a interrogarla, e quella a rispondere, ed egli rideva con gli occhi lustri, battendosi i pugni sulle ginocchia, e pigliava la figliuola con le mani, guardandola, fuor di sé dalla contentezza a sentirla, come se fosse una voce che venisse dal cielo; poi domandò alla maestra: - Il signor direttore, sarebbe permesso di ringraziarlo?

- Il direttore non c’è, - rispose la maestra. - Ma c’è un’altra persona che dovreste ringraziare. Qui ogni ragazza piccola è data in cura a una compagna più grande, che le fa da sorella, da madre. La vostra è affidata a una sordomuta di diciassette anni, figliuola d’un fornaio, che è buona e le vuol bene molto: da due anni va a aiutarla a vestirsi ogni mattina, la pettina, le insegna a cucire, le accomoda la roba, le tien buona compagnia. Luigia, come si chiama la tua mamma dell’Istituto?

La ragazza sorrise e rispose: - Cate-rina Gior-dano. - Poi disse a suo padre: - Mol-to, mol-to buona.

Il custode, uscito a un cenno della maestra, ritornò quasi subito con una sordomuta bionda, ro-