Pagina:Cuore (1889).djvu/303


la sordomuta 291

zione, - rispose il custode, - vado a avvertir la maestra. - E scappò.

Il giardiniere non poteva più né parlare, né star fermo; guardava i quadri alle pareti, senza veder nulla.

La porta s’aperse: entrò una maestra, vestita di nero, con una ragazza per mano.

Padre e figliuola si guardarono un momento e poi si slanciarono l’uno nelle braccia dell’altro, mettendo un grido.

La ragazza era vestita di rigatino bianco e rossiccio, con un grembiale bianco. È più alta di me. Piangeva e teneva suo padre stretto al collo con tutt’e due le braccia.

Suo padre si svincolò, e si mise a guardarla da capo a piedi, coi lucciconi agli occhi, ansando come se avesse fatto una gran corsa; e sclamò: - Ah! com’è cresciuta! come s’è fatta bella! Oh la mia cara, la mia povera Gigia! La mia povera mutina! È lei, signora, la maestra? Le dica un po’ che mi faccia pure i suoi segni, che qualche cosa capirò, e poi imparerò a poco a poco. Le dica che mi faccia capire qualche cosa, coi gesti.

La maestra sorrise e disse a bassa voce alla ragazza: - Chi è quest’uomo che t’è venuto a trovare?

E la ragazza, con una voce grossa, strana, stuonata come quella d’un selvaggio che parlasse per la prima volta la nostra lingua, ma pronunciando chiaro, e sorridendo, rispose: - È mi-o pa-dre.

Il giardiniere diede un passo indietro e gridò come un matto: - Parla! ma è possibile! Ma è possibile! Parla? Ma tu parli, bambina mia, parli? dimmi un poco: parli? - E di nuovo l’abbracciò