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dagli apennini alle ande | 283 |
- Chi è? - gridò la donna con una voce strozzata e strana, come di persona spaventata.
Un istante dopo gittò un grido altissimo, balzando a sedere sul letto, e rimase immobile, con gli occhi spalancati e con le mani alle tempie, come davanti a un’apparizione sovrumana.
Marco, lacero e polveroso, era là ritto sulla soglia, trattenuto per un braccio dal dottore.
La donna urlò tre volte: - Dio! Dio! Dio mio!
Marco si slanciò avanti, essa protese le braccia scarne, e serrandolo al seno con la forza d’una tigre, scoppiò in un riso violento, rotto da profondi singhiozzi senza lagrime, che la fecero ricader soffocata sul cuscino.
Ma si riprese subito e gridò pazza di gioia, tempestandogli il capo di baci: - Come sei qui? Perché? Sei tu? Come sei cresciuto! Chi t’ha condotto? Sei solo? Non sei malato? Sei tu, Marco! Non è un sogno! Dio mio! Parlami! - Poi cambiando tono improvvisamente: - No! Taci! Aspetta! - E voltandosi verso il medico, a precipizio: - Presto, subito, dottore. Voglio guarire. Son pronta. Non perda un momento. Conducete via Marco che non senta. Marco mio, non è nulla. Mi racconterai. Ancora un bacio. Va. Eccomi qui, dottore.
Marco fu portato via. I padroni e le donne uscirono in fretta; rimasero il chirurgo e l’assistente, che chiusero la porta.