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270 | maggio |
tena immensa che si stende dalla Terra del fuoco fino al mare glaciale del polo artico per cento e dieci gradi di latitudine. Ed anche lo confortava il sentire che l’aria si veniva facendo sempre più calda; e questo avveniva perché, risalendo verso settentrione, egli si andava avvicinando alle regioni tropicali. A grandi distanze trovava dei piccoli gruppi di case, con una botteguccia; e comprava qualche cosa da mangiare. Incontrava degli uomini a cavallo; vedeva ogni tanto delle donne e dei ragazzi seduti in terra, immobili e gravi, delle faccie nuove affatto per lui, color di terra, con gli occhi obbliqui, con l’ossa delle guance sporgenti; i quali lo guardavano fisso, e lo accompagnavano con lo sguardo, girando il capo lentamente, come automi. Erano Indiani. Il primo giorno camminò fin che gli ressero le forze, e dormì sotto un albero. Il secondo giorno camminò assai meno, e con minor animo. Aveva le scarpe rotte, i piedi spellati, lo stomaco indebolito dalla cattiva nutrizione. Verso sera s’incominciava a impaurire. Aveva inteso dire in Italia che in quei paesi c’eran dei serpenti: credeva di sentirli strisciare, s’arrestava, pigliava la corsa, gli correvan dei brividi nelle ossa. A volte lo prendeva una grande compassione di sé, e piangeva in silenzio, camminando. Poi pensava: - Oh quanto soffrirebbe mia madre se sapesse che ho tanta paura! - e questo pensiero gli ridava coraggio. Poi, per di-