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dagli apennini alle ande | 265 |
manda, dicendo che veniva dall’Italia e che andava a cercare sua madre.
Il capataz, che vuol dir capo (il capo conduttore di quel convoglio di carri), gli diede un’occhiata da capo a piedi, e rispose seccamente: - Non ci ho posto.
- Io ho quindici lire, - rispose il ragazzo, supplichevole, - do le mie quindici lire. Per viaggio lavorerò. Andrò a pigliar l’acqua e la biada per le bestie, farò tutti i servizi. Un poco di pane mi basta. Mi faccia un po’ di posto, signore!
Il capataz tornò a guardarlo, e rispose con miglior garbo: - Non c’è posto.... e poi.... noi non andiamo a Tucuman, andiamo a un’altra città, Santiago dell’Estero. A un certo punto ti dovremmo lasciare, e avresti ancora un gran tratto da far a piedi.
- Ah! io ne farei il doppio! - esclamò Marco; - io camminerò, non ci pensi; arriverò in ogni maniera, mi faccia un po’ di posto, signore, per carità, per carità non mi lasci qui solo!
- Bada che è un viaggio di venti giorni!
- Non importa.
- È un viaggio duro!
- Sopporterò tutto.
- Dovrai viaggiar solo!
- Non ho paura di nulla. Purché ritrovi mia madre. Abbia compassione!