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dagli apennini alle ande 263

tagliate da altre strade diritte e lunghissime. Ma c’era poca gente, e al chiarore dei rari lampioni incontrava delle facce strane, d’un colore sconosciuto, tra nerastro e verdognolo, e alzando il viso a quando a quando, vedeva delle chiese d’architettura bizzarra che si disegnavano enormi e nere sul firmamento. La città era oscura e silenziosa; ma dopo aver attraversato quell’immenso deserto, gli pareva allegra. Interrogò un prete, trovò presto la chiesa e la casa, tirò il campanello con una mano tremante, e si premette l’altra sul petto per comprimere i battiti del cuore, che gli saltava alla gola.

Una vecchia venne ad aprire, con un lume in mano. Il ragazzo non poté parlar subito.

- Chi cerchi? - domandò quella, in spagnuolo.

- L’ingegnere Mequinez, - disse Marco.

La vecchia fece l’atto d’incrociar le braccia sul seno, e rispose dondolando il capo. - Anche tu, dunque, l’hai con l’ingegnere Mequinez! E mi pare che sarebbe tempo di finirla. Son tre mesi oramai, che ci seccano. Non basta che l’abbiano detto i giornali. Bisognerà farlo stampare sulle cantonate che il signor Mequinez è andato a stare a Tucuman!

Il ragazzo fece un gesto di disperazione. Poi diede in uno scoppio di rabbia. - È una maledizione dunque! Io dovrò morire per la strada