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262 maggio

svegliò di sobbalzo, atterrito, e vide in fondo al vagone tre uomini barbuti, ravvolti in scialli di vari colori, che lo guardavano, parlando basso tra di loro; e gli balenò il sospetto che fossero assassini e lo volessero uccidere, per rubargli la sacca. Al freddo, al malessere gli s’aggiunse la paura; la fantasia già turbata gli si stravolse; - i tre uomini lo fissavano sempre, - uno di essi mosse verso di lui; - allora egli smarrì la ragione, e correndogli incontro con le braccia aperte, gridò: - Non ho nulla. Sono un povero ragazzo. Vengo dall’Italia vo a cercar mia madre, son solo; non mi fate del male! - Quelli capirono subito, n’ebbero pietà, lo carezzarono e lo racquetarono, dicendogli molte parole che non intendeva; e vedendo che batteva i denti dal freddo, gli misero addosso uno dei loro scialli, e lo fecero risedere perché dormisse. E si riaddormentò, che imbruniva. Quando lo svegliarono, era a Cordova.


Ah! che buon respiro tirò, e con che impeto si cacciò fuori del vagone! Domandò a un impiegato della stazione dove stesse di casa l’ingegner Mequinez: quegli disse il nome d’una chiesa: - la casa era accanto alla chiesa; - il ragazzo scappò via. Era notte. Entrò in città. E gli parve d’entrare in Rosario un’altra volta, al veder quelle strade diritte, fiancheggiate di piccole case bianche, e