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in una soffitta | 15 |
abbracciarlo. Io l’abbracciai, egli s’alzò e mi prese per mano. — Eccomi qui, — diceva in quel mentre sua madre alla mia, — sola con questo ragazzo, il marito in America da sei anni, ed io per giunta malata, che non posso più andare in giro con la verdura a guadagnare quei pochi soldi. Non ci è rimasto nemmeno un tavolino per il mio povero Luigino, da farci il lavoro. Quando ci avevo il banco giù nel portone, almeno poteva scrivere sul banco; ora me l’han levato. Nemmeno un poco di lume da studiare senza rovinarsi gli occhi. È grazia se lo posso mandar a scuola, chè il municipio gli dà i libri e i quaderni. Povero Luigino, che studierebbe tanto volentieri! Povera donna che sono! — Mia madre le diede tutto quello che aveva nella borsa, baciò il ragazzo, e quasi piangeva, quando uscimmo. E aveva ben ragione di dirmi: — Guarda quel povero ragazzo, com’è costretto a lavorare, tu che hai tutti i tuoi comodi, e pure ti par duro lo studio! Ah! Enrico mio, c’è più merito nel suo lavoro d’un giorno che nel tuo lavoro d’un anno. A quelli lì dovrebbero dare i primi premi!
LA SCUOLA
28, venerdì
Sì, caro Enrico, lo studio ti è duro, come ti dice tua madre, non ti vedo ancora andare alla scuola con quell’animo risoluto e con quel viso ridente, ch’io vorrei. Tu hai ancora il restìo. Ma senti: pensa un po’ che misera, spregevole cosa sarebbe la tua giornata se tu non andassi a scuola! A mani giunte,