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dagli apennini alle ande 243

diedero l’indirizzo del cugino, e una bella sera del mese d'aprile lo imbarcarono. - Figliuolo, Marco mio, - gli disse il padre dandogli l’ultimo bacio, con le lacrime agli occhi, sopra la scala del piroscafo che stava per partire: - fatti coraggio. Parti per un santo fine e Dio t’aiuterà.


Povero Marco! Egli aveva il cuor forte e preparato alle più dure prove per quel viaggio; ma quando vide sparire all’orizzonte la sua bella Genova, e si trovò in alto mare, su quel grande piroscafo affollato di contadini emigranti, solo, non conosciuto da alcuno, con quella piccola sacca che racchiudeva tutta la sua fortuna, un improvviso scoraggiamento lo assalì. Per due giorni stette accucciato come un cane a prua, non mangiando quasi, oppresso da un gran bisogno di piangere. Ogni sorta di tristi pensieri gli passava per la mente, e il più triste, il più terribile era il più ostinato a tornare: il pensiero che sua madre fosse morta. Nei suoi sogni rotti e pensosi egli vedeva sempre la faccia d’uno sconosciuto, che lo guardava in aria di compassione e poi gli diceva all’orecchio: - Tua madre è morta. - E allora si svegliava soffocando un grido. Nondimeno, passato lo stretto di Gibilterra, alla prima vista dell’Oceano atlantico, riprese un poco d’animo e di speranza. Ma fu un breve sollievo. Quell’immenso mare sempre eguale, il calore crescente, la tri-