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il maestro di mio padre 207

scienzioso, pieno di buon volere e attento, come se ogni giorno facesse scuola per la prima volta. Lo ricordo come lo sentissi adesso quando mi guardava:

— Bottini, eh, Bottini! L’indice e il medio su quella penna! Sarà molto cambiato, dopo quarantaquattro anni.

Appena arrivati a Condove, andammo a cercare la nostra antica giardiniera di Chieri, che ha una botteguccia, in un vicolo. La trovammo coi suoi ragazzi, ci fece molta festa, ci diede notizie di suo marito, che deve tornare dalla Grecia, dov’è a lavorare da tre anni, e della sua prima figliuola, che è nell’Istituto dei sordo-muti a Torino. Poi c’insegnò la strada per andar dal maestro, che è conosciuto da tutti.

Uscimmo dal paese, e pigliammo per una viottola in salita, fiancheggiata di siepi fiorite.

Mio padre non parlava più, pareva tutto assorto nei suoi ricordi, e ogni tanto sorrideva e poi scoteva la testa.

All’improvviso si fermò, e disse: — Eccolo. Scommetto che è lui.

Veniva giù verso di noi, per la viottola, un vecchio piccolo, con la barba bianca, con un cappello largo, appoggiandosi a un bastone: strascicava i piedi e gli tremavan le mani.

— È lui, — ripetè mio padre, affrettando il passo.

Quando gli fummo vicini, ci fermammo. Il vecchio pure si fermò, e guardò mio padre. Aveva il viso ancora fresco, e gli occhi chiari e vivi.

— È lei — domandò mio padre, levandosi il cappello, — il maestro Vincenzo Crosetti?

Il vecchio pure si levò il cappello e rispose: — Son io, — con una voce un po’ tremola, ma piena.