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re umberto 197

ionette... Quindici anni che non lo vedo... Il nostro Umberto, va. Ah! questa musica mi rimescola il sangue, parola d’onore.

Uno scoppio di grida l’interruppe, migliaia di cappelli s’alzarono in aria, quattro signori vestiti di nero salirono nella prima carrozza.

- È lui! - gridò Coretti, e rimase come incantato.

Poi disse piano: - Madonna mia, come s’è fatto grigio!

Tutti e tre ci scoprimmo il capo: la carrozza veniva innanzi lentamente, in mezzo alla folla che gridava e agitava i cappelli. Io guardai Coretti padre. Mi parve un altro: pareva diventato più alto, serio, un po’ pallido, ritto appiccicato contro il pilastro.

La carrozza arrivò davanti a noi, a un passo dal pilastro. - Evviva! - gridarono molte voci. - Evviva! - gridò Coretti, dopo gli altri.

Il re lo guardò in viso e arrestò un momento lo sguardo sulle tre medaglie.

Allora Coretti perdé la testa e urlò: - Quarto battaglione del quarantanove!

Il re, che s’era già voltato da un’altra parte, si rivoltò verso di noi, e fissando Coretti negli occhi, stese la mano fuor della carrozza.

Coretti fece un salto avanti e glie la strinse. La carrozza passò, la folla irruppe e ci divise, perdemmo di vista Coretti padre. Ma fu un momento. Subito lo ritrovammo, ansante, con gli occhi umidi, che chiamava per nome il figliuolo, tenendo la mano in alto. Il figliuolo si slanciò verso di lui, ed egli gridò: - Qua, piccino, che ho ancora calda la mano! - e gli passò la mano intorno al viso, dicendo: - Questa è una carezza del re.