Robetti, quello che salvò il bimbo dall’omnibus, con le sue stampelle fra le ginocchia, stretto al fianco di suo padre, capitano d’artiglieria, che gli teneva una mano sulla spalla. La rappresentazione cominciò. Il pagliaccino fece meraviglie sul cavallo, sul trapezio e sulla corda, e ogni volta che saltava giù, tutti gli battevan le mani e molti gli tiravano i riccioli. Poi fecero gli esercizi vari altri, funamboli, giocolieri e cavallerizzi, vestiti di cenci e scintillanti d’argento. Ma quando non c’era il ragazzo, pareva che la gente si seccasse. A un certo punto vidi il maestro di ginnastica, fermo all’entrata dei cavalli, che parlò nell’orecchio del padrone del circo, e questi subito girò lo sguardo sugli spettatori, come se cercasse qualcuno. Il suo sguardo si fermò su di noi. Mio padre se ne accorse, capì che il maestro aveva detto ch’era lui l’autor dell’articolo, e per non esser ringraziato se ne scappò via, dicendomi: - Resta, Enrico; io t’aspetto fuori. - Il pagliaccino, dopo aver scambiato qualche parola col suo babbo, fece ancora un esercizio: ritto sul cavallo che galoppava, si travestì quattro volte, da pellegrino, da marinaio, da soldato, da acrobata, e ogni volta che mi passava vicino, mi guardava. Poi, quando scese, cominciò a fare il giro del circo col cappello da pagliaccio tra le mani, e tutti ci gettavan dentro soldi e confetti. Io tenni pronti due soldi; ma quando fu in faccia a me, invece di porgere il cappello, lo tirò indietro, mi guardò e passò avanti. Rimasi mortificato. Perché m’aveva fatto quello sgarbo? La rappresentazione terminò, il padrone ringraziò il pubblico, e tutta la gente s’alzò, affollandosi verso l’uscita. Io ero confuso tra la folla, e stavo già per uscire, quando mi sentii toccare una