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134 febbraio

In quel punto parve al ragazzo di sentirsi stringere la mano.

- M’ha stretta la mano! - esclamò.

Il medico rimase un momento chino sul malato, poi s’alzò. La suora staccò un crocifisso dalla parete.

- E morto! - gridò il ragazzo.

- Va’, figliuolo, - disse il medico. - La tua santa opera è compiuta. Va’ e abbi fortuna, che la meriti. Dio ti proteggerà. Addio.

La suora che s’era allontanata un momento, tornò con un mazzettino di viole, tolte da un bicchiere sulla finestra, e lo porse al ragazzo, dicendo: - Non ho altro da darti. Tieni questo per memoria dell’ospedale.

- Grazie, - rispose il ragazzo, - pigliando il mazzetto con una mano e asciugandosi gli occhi con l’altra; - ma ho tanta strada da fare a piedi... lo sciuperei. - E sciolto il mazzolino sparpagliò le viole sul letto, dicendo: - Le lascio per ricordo al mio povero morto. Grazie, sorella. Grazie, signor dottore. - Poi, rivolgendosi al morto: - Addio... - E mentre cercava un nome da dargli, gli rivenne dal cuore alle labbra il dolce nome che gli aveva dato per cinque giorni: - Addio, povero tata!

Detto questo, si mise sotto il braccio il suo involtino di panni, e a lenti passi, rotto dalla stanchezza, se n’andò. L’alba spuntava.