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l'infermiere di tata 125

Il ragazzo diede in uno scoppio di pianto, e lasciato cadere l’involto, abbandonò la testa sulla spalla del malato, afferrandogli con una mano il braccio che teneva disteso immobile sopra la coperta. Il malato non si scosse.

Il ragazzo si rialzò e guardò il padre, e ruppe in pianto un’altra volta. Allora il malato gli rivolse uno sguardo lungo e parve che lo riconoscesse. Ma le sue labbra non si muovevano. Povero tata, quanto era mutato! Il figliuolo non l’avrebbe mai riconosciuto. Gli s’erano imbiancati i capelli, gli era cresciuta la barba, aveva il viso gonfio, d’un color rosso carico, con la pelle tesa e luccicante, gli occhi rimpiccioliti, le labbra ingrossate, la fisionomia tutta alterata: non aveva più di suo che la fronte e l’arco delle sopracciglia. Respirava con affanno. - Tata, tata mio! - disse il ragazzo. - Son io, non mi riconoscete? Sono Ciccillo, il vostro Ciccillo, venuto dal paese, che m’ha mandato la mamma. Guardatemi bene, non mi riconoscete? Ditemi una parola.

Ma il malato, dopo averlo guardato attentamente, chiuse gli occhi.

- Tata! Tata! che avete? Sono il vostro figliuolo, Ciccillo vostro.

Il malato non si mosse più, e continuò a respirare affannosamente.

Allora, piangendo, il ragazzo prese una seggiola,