Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
l'infermiere di tata | 123 |
il braccio, si presentava al portinaio dell’Ospedale maggiore di Napoli e domandava di suo padre, presentando una lettera. Aveva un bel viso ovale d’un bruno pallido, gli occhi pensierosi e due grosse labbra semiaperte, che lasciavan vedere i denti bianchissimi. Veniva da un villaggio dei dintorni di Napoli. Suo padre, partito di casa l’anno addietro per andare a cercar lavoro in Francia, era tornato in Italia e sbarcato pochi dì prima a Napoli, dove, ammalatosi improvvisamente, aveva appena fatto in tempo a scrivere un rigo alla famiglia per annunziarle il suo arrivo e dirle che entrava all’ospedale. Sua moglie, desolata di quella notizia, non potendo moversi di casa perché aveva una bimba inferma e un’altra al seno, aveva mandato a Napoli il figliuolo maggiore, con qualche soldo, ad assistere suo padre, il suo tata, come là si dice; il ragazzo aveva fatto dieci miglia di cammino.
Il portinaio, data un’occhiata alla lettera, chiamò un infermiere e gli disse che conducesse il ragazzo dal padre.
- Che padre? - domandò l’infermiere.
Il ragazzo, tremante per il timore d’una trista notizia, disse il nome.
L’infermiere non si rammentava quel nome.
- Un vecchio operaio venuto di fuori? - domandò.
- Operaio sì, - rispose il ragazzo, sempre