Pagina:Cuore (1889).djvu/130

118 febbraio

domandò mio padre. Un vicino rispose che era un muratore, caduto da un quarto piano, mentre lavorava. I portatori della barella si soffermarono un momento. Molti torsero il viso inorriditi. Vidi la maestrina della penna rossa che sorreggeva la mia maestra di prima superiore, quasi svenuta. Nello stesso tempo mi sentii urtare nel gomito: era il muratorino, pallido, che tremava da capo a piedi. Egli pensava a suo padre, certo. Anch’io ci pensai. Io sto con l’animo in pace, almeno, quando sono a scuola, io so che mio padre è a casa, seduto a tavolino, lontano da ogni pericolo; ma quanti miei compagni pensano che i loro padri lavorano sopra un ponte altissimo o vicino alle ruote d’una macchina, e che un gesto, un passo falso può costar loro la vita! Sono come tanti figliuoli di soldati, che abbiano i loro padri in battaglia. Il muratorino guardava, guardava, e tremava sempre più forte, e mio padre se n’accorse e gli disse: - Vattene a casa, ragazzo, va subito da tuo padre, che lo troverai sano e tranquillo; va’! - Il muratorino se n’andò voltandosi indietro a ogni passo. E intanto la folla si rimise in moto, e la donna gridava, da straziar l’anima: - È morto! È morto! È morto! - No, no, non è morto, - le dicevan da tutte le parti. Ma essa non ci badava e si strappava i capelli. Quando sentii una voce sdegnata che disse: - Tu ridi! - e vidi nello stesso tempo un uomo barbuto che guardava in faccia Franti, il quale sorrideva ancora. Allora l’uomo gli cacciò in terra il berretto con un ceffone, dicendo: - Scopriti il capo, malnato, quando passa un ferito del lavoro! - La folla era già passata tutta, e si vedeva in mezzo alla strada una lunga striscia di sangue.