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il tamburino sardo 101

Il ragazzo non aveva più che una gamba: la gamba sinistra gli era stata amputata al di sopra del ginocchio: il troncone era fasciato di panni insanguinati.

In quel momento passò un medico militare, piccolo e grasso, in maniche di camicia. - Ah! signor capitano, disse rapidamente, accennandogli il tamburino, - ecco un caso disgraziato; una gamba che si sarebbe salvata con niente s’egli non l’avesse forzata in quella pazza maniera; un’infiammazione maledetta; bisognò tagliar lì per lì. Oh, ma... un bravo ragazzo, gliel’assicuro io; non ha dato una lacrima, non un grido! Ero superbo che fosse un ragazzo italiano, mentre l’operavo, in parola d’onore. Quello è di buona razza, perdio! -

E se n’andò di corsa.

Il capitano corrugò le grandi sopracciglia bianche, e guardò fisso il tamburino, ristendendogli addosso la coperta; poi, lentamente, quasi non avvedendosene, e fissandolo sempre, alzò la mano al capo e si levò il cheppì.

- Signor capitano! - esclamò il ragazzo meravigliato. - Cosa fa, signor capitano? Per me!

E allora quel rozzo soldato che non aveva mai detto una parola mite ad un suo inferiore, rispose con una voce indicibilmente affettuosa e dolce: - Io non sono che un capitano; tu sei un eroe.

Poi si gettò con le braccia aperte sul tamburino, e lo baciò tre volte sul cuore.