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il piccolo scrivano fiorentino. 47

stesso aveva ben deciso di dirgli tutto; eppure... il sentir quel passo avvicinarsi, nell’oscurità; - l’esser sorpreso a quell’ora, in quel silenzio; - sua madre che si sarebbe svegliata e spaventata, - e il pensar per la prima volta che suo padre avrebbe forse provato un’umiliazione in faccia sua, scoprendo ogni cosa... tutto questo lo atterriva, quasi. - Egli tese l’orecchio, col respiro sospeso... Non sentì rumore. Origliò alla serratura dell’uscio che aveva alle spalle: nulla. Tutta la casa dormiva. Suo padre non aveva inteso. Si tranquillò. E ricominciò a scrivere. E le fasce s’ammontavano sulle fasce. Egli sentì il passo cadenzato delle guardie civiche giù nella strada deserta; poi un rumore di carrozza che cessò tutt’a un tratto; poi, dopo un pezzo, lo strepito d’una fila di carri che passavano lentamente; poi un silenzio profondo, rotto a quando a quando dal latrato lontano d’un cane. E scriveva, scriveva. E intanto suo padre era dietro di lui: egli s’era levato udendo cadere il libro, ed era rimasto aspettando il buon punto; lo strepito dei carri aveva coperto il fruscio dei suoi passi e il cigolio leggiero delle imposte dell’uscio; ed era là, - con la sua testa bianca sopra la testina nera di Giulio, - e aveva visto correr la penna sulle fasce, - e in un momento aveva tutto indovinato, tutto ricordato, tutto compreso, e un pentimento disperato, una tenerezza immensa, gli aveva invaso l’anima, e lo teneva inchiodato, soffocato là, dietro al suo bimbo. All’improvviso, Giulio diè un grido acuto, - due braccia convulse gli avevan serrata la testa. - O babbo! babbo, perdonami! perdonami! - gridò, riconoscendo suo padre al pianto. - Tu, perdonami! - rispose il padre, singhioz-