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che si mescolarono fra gli altri vicini a me, e finsero di guardar le vetrine: c’era Garrone, con la sua solita pagnotta in tasca, Coretti, il muratorino, e Garoffi, quello dei francobolli. Intanto s’era fatta folla intorno al vecchio e una guardia ed altri correvano qua e là minacciando e domandando: - Chi è? chi è stato? Sei tu? Dite chi è stato! - e guardavan le mani ai ragazzi, se le avevan bagnate di neve. Garoffi era accanto a me: m’accorsi che tremava tutto, e che avea il viso bianco come un morto. - Chi è? Chi è stato? - continuava a gridare la gente. - Allora intesi Garrone che disse piano a Garoffi: - Su, vatti a presentare; sarebbe una vigliaccheria lasciar agguantare qualcun altro. - Ma io non l’ho fatto apposta! - rispose Garoffi, tremando come una foglia. - Non importa, fa il tuo dovere, - ripeté Garrone. - Ma io non ho coraggio! - Fatti coraggio, t’accompagno io. - E la guardia e gli altri gridavan sempre più forte: - Chi è? Chi è stato? Un occhiale in un occhio gli han fatto entrare! L’hanno accecato! Briganti! - Io credetti che Garoffi cascasse in terra. - Vieni, - gli disse risolutamente Garrone, - io ti difendo, - e afferratolo per un braccio lo spinse avanti, sostenendolo, come un malato. La gente vide e capì subito, e parecchi accorsero coi pugni alzati. Ma Garrone si fece in mezzo, gridando: - Vi mettete in dieci uomini contro un ragazzo? - Allora quelli ristettero, e una guardia civica pigliò Garoffi per mano e lo condusse, aprendo la folla, a una bottega di pastaio, dove avevan ricoverato il ferito. Vedendolo, riconobbi subito il vecchio impiegato, che sta al quarto piano di casa nostra, col suo nipotino. Era adagiato sur una seggiola, con un fazzoletto sugli