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ripulissi la spalliera che il muratorino aveva macchiata di bianco con la sua giacchetta: mi trattenne la mano e ripulì poi lui, di nascosto. Giocando, il muratorino perdette un bottone della cacciatora, e mia madre glie l’attaccò, ed egli si fece rosso e stette a vederla cucire tutto meravigliato e confuso, trattenendo il respiro. Poi gli diedi a vedere degli album di caricature ed egli, senz’avvedersene, imitava le smorfie di quelle facce, così bene, che anche mio padre rideva. Era tanto contento quando andò via, che dimenticò di rimettersi in capo il berretto a cencio, e arrivato sul pianerottolo, per mostrarmi la sua gratitudine mi fece ancora una volta il muso di lepre. Egli si chiama Antonio Rabucco, e ha otto anni e otto mesi...


UNA PALLA DI NEVE.

16, venerdì.

E sempre nevica, nevica. Seguì un brutto caso, questa mattina, con la neve, all’uscir dalla scuola. Un branco di ragazzi, appena sboccati sul Corso, si misero a tirar palle, con quella neve acquosa, che fa le palle sode e pesanti come pietre. Molta gente passava sul marciapiedi. Un signore gridò: - Smettete, monelli! - e proprio in quel punto si udì un grido acuto dall’altra parte della strada, e si vide un vecchio che aveva perduto il cappello e barcollava, coprendosi il viso con le mani, e accanto a lui un ragazzo che gridava: - Aiuto! Aiuto! - Subito accorse gente da ogni parte. Era stato colpito da una palla in un occhio. Tutti i ragazzi si sbandarono fuggendo come saette. Io stavo davanti alla bottega del libraio, dov’era entrato mio padre, e vidi arrivar di corsa parecchi miei compagni