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22 novembre.


del principe Umberto; lo stesso viso del figliuolo, con quegli occhi vivi e quel sorriso così allegro. Tornammo nella cucina. — Ho trovato la cosa, — disse Coretti, e aggiunse sul quaderno: si fanno anche i finimenti dei cavalli. — Il resto lo farò stasera, starò levato fino a più tardi. Felice te che hai tutto il tempo per studiare e puoi ancora andare a passeggio!

E sempre gaio e lesto, rientrato in bottega, cominciò a mettere dei pezzi di legno sul cavalletto e a segarli per mezzo, e diceva: — Questa è ginnastica! Altro che la spinta delle braccia avanti. Voglio che mio padre trovi tutte queste legna segate quando torna a casa: sarà contento. Il male è che dopo aver segato faccio dei t e degli l, che paion serpenti, come dice il maestro. Che ci ho da fare? Gli dirò che ho dovuto menar le braccia. Quello che importa è che la mamma guarisca presto, questo sì. Oggi sta meglio, grazie al cielo. La grammatica la studierò domattina al canto del gallo. Oh! ecco la carretta coi ceppi! Al lavoro.

Una carretta carica di ceppi si fermò davanti alla bottega. Coretti corse fuori a parlar con l’uomo poi tornò. — Ora non posso più tenerti compagnia, — mi disse; — a rivederci domani. Hai fatto bene a venirmi a trovare. Buona passeggiata! Felice te.

E strettami la mano, corse a pigliar il primo ceppo, e ricominciò a trottare fra il carro e la bottega, col viso fresco come una rosa sotto al suo berretto di pel di gatto, e vispo che metteva allegrezza a vederlo

Felice te! egli mi disse. Ah no, Coretti, no: sei