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disse; - bisognò bene che imparassi a farlo. Aspetta un po’ che glie lo portiamo; così ti vedrà, le farà piacere. Son sette giorni che è a letto. Accidenti del verbo! Mi scotto sempre le dita con questa caffettiera. Che cosa ho da aggiungere dopo gli zaini per i soldati? Ci vuole qualche altra cosa e non la trovo. Vieni dalla mamma.
Aperse un uscio, entrammo in un’altra camera piccola: c’era la mamma di Coretti in un letto grande, con un fazzoletto bianco intorno al capo.
- Ecco il caffè, mamma, - disse Coretti porgendo la tazza; - questo è un mio compagno di scuola.
- Ah! bravo il signorino, - mi disse la donna; - viene a far visita ai malati, non è vero?
Intanto Coretti accomodava i guanciali dietro alle spalle di sua madre, raggiustava le coperte del letto, riattizzava il fuoco, cacciava il gatto dal cassettone. - Vi occorre altro, mamma? - domandò poi, ripigliando la tazza. - Li avete presi i due cucchiaini di siroppo? Quando non ce ne sarà più darò una scappata dallo speziale. Le legna sono scaricate. Alle quattro metterò la carne al fuoco, come avete detto, e quando passerà la donna del burro le darò quegli otto soldi. Tutto andrà bene, non vi date pensiero.
- Grazie, figliuolo, - rispose la donna; - povero figliuolo, va’! Egli pensa a tutto.
Volle che pigliassi un pezzo di zucchero, e poi Coretti mi mostrò un quadretto, il ritratto in fotografia di suo padre, vestito da soldato, con la medaglia al valore, che guadagnò nel ’66, nel quadrato