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e continuò a far lezione per una mezz’ora. Poi andò al banco da Coretti e piano piano, soffiandogli nel viso, lo svegliò. A vedersi davanti il maestro si fece indietro impaurito. Ma il maestro gli prese il capo fra le mani e gli disse baciandolo sui capelli: - Non ti rimprovero, figliuol mio. Non è mica il sonno della pigrizia il tuo; è il sonno della fatica.



19, lunedì

Il mio buon padre mi lasciò andare alla scampagnata che si era combinata mercoledì col padre di Coretti, il rivenditor di legna. Ne avevamo tutti bisogno d’una boccata d’aria di collina. Fu una festa. Ci trovammo ieri alle due in piazza dello Statuto, Derossi, Garrone, Garoffi, Precossi, padre e figlio Coretti, ed io con le nostre provviste di frutte, di salsicciotti e d’ova sode: avevamo anche delle barchette di cuoio e dei bicchieri di latta: Garrone portava una zucca con dentro del vino bianco; Coretti, la fiaschetta da soldato di suo padre, piena di vino nero; e il piccolo Precossi, col suo camiciotto di fabbro ferraio, teneva sotto il braccio una pagnotta di due chilogrammi. S’andò in omnibus fino alla Gran Madre di Dio, e poi su, alla lesta, per i colli. C’era un verde, un’ombra, un fresco! Andavamo rivoltoni nell’erba, mettevamo il viso nei rigagnoli, saltavamo a traverso alle siepi. Coretti padre ci seguitava di lontano, con la giacchetta sulle spalle, fumando con la sua pipa di gesso, e di tanto in tanto ci minacciava con la mano, che non ci facessimo delle buche nei calzoni. Precossi zufolava; non l’avevo mai sentito zufolare. Co-