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cielo sereno coi loro altissimi coni. Quattro giorni - cinque - una settimana passò. Le forze gli andavan rapidamente scemando, i piedi gli sanguinavano. Finalmente, una sera al cader del sole, gli dissero: - Tucuman è a cinque miglia di qui. - Egli gittò un grido di gioia, e affrettò il passo, come se avesse riacquistato in un punto tutto il vigore perduto. Ma fu una breve illusione. Le forze lo abbandonarono a un tratto, e cadde sull’orlo d’un fosso, sfinito. Ma il cuore gli batteva dalla contentezza. Il cielo, fitto di stelle splendidissime, non gli era mai parso così bello. Egli le contemplava, adagiato sull’erba per dormire, e pensava che forse nello stesso tempo anche sua madre le guardava. E diceva: - O madre mia, dove sei? che cosa fai in questo momento? Pensi al tuo figliuolo? Pensi al tuo Marco, che ti è tanto vicino?

Povero Marco, s’egli avesse potuto vedere in quale stato si trovava sua madre in quel punto, avrebbe fatto uno sforzo sovrumano per camminare ancora, e arrivar da lei qualche ora prima. Era malata, a letto, in una camera a terreno d’una casetta signorile, dove abitava tutta la famiglia Mequinez; la quale le aveva posto molto affetto e le faceva grande assistenza. La povera donna era già malaticcia quando l’ingegnere Mequinez aveva dovuto partire improvvisamente da Buenos Aires, e non s’era punto rimessa colla buon’aria di Cordova. Ma poi, il non aver più ricevuto risposta alle sue lettere né dal marito né dal cugino, il presentimento sempre vivo di qualche grande disgrazia, l’ansietà continua in cui era vissuta, incerta tra il partire e il restare, aspettando ogni giorno una notizia funesta,