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e dall’insonnia, ridotto lacero e sudicio, rimbrottato e malmenato dalla mattina alla sera, il povero ragazzo s’avviliva ogni giorno di più, e si sarebbe perduto d’animo affatto se il capataz non gli avesse rivolto di tratto in tratto qualche buona parola. Spesso, in un cantuccio del carro, non veduto, piangeva col viso contro la sua sacca, la quale non conteneva più che dei cenci. Ogni mattina si levava più debole e più scoraggiato, e guardando la campagna, vedendo sempre quella pianura sconfinata e implacabile, come un oceano di terra, diceva tra sé: - Oh! fino a questa sera non arrivo, fino a questa sera non arrivo! Quest’oggi muoio per la strada! - E le fatiche crescevano, i mali trattamenti raddoppiavano. Una mattina, perché aveva tardato a portar l’acqua, in assenza del capataz, uno degli uomini lo percosse. E allora cominciarono a farlo per vezzo, quando gli davano un ordine, a misurargli uno scapaccione, dicendo: - Insacca questo, vagabondo! - Porta questo a tua madre! - Il cuore gli scoppiava; ammalò; - stette tre giorni nel carro, con una coperta addosso, battendo la febbre, e non vedendo nessuno, fuori che il capataz, che veniva a dargli da bere e a toccargli il polso. E allora Si credette perduto, e invocava disperatamente sua madre, chiamandola cento volte per nome: - Oh mia madre! madre mia! Aiutami! Vienmi incontro che muoio! Oh povera madre mia, che non ti vedrò mai più! Povera madre mia, che mi troverai morto per la strada! - E giungeva le mani sul petto e pregava. Poi miglioro, grazie alle cure del capataz, e guarì; ma con la guarigione sopraggiunse il giorno più terribile del suo viaggio, il giorno