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Poi gli gridò: - Animo, animo, figioeu! Che diavolo! Un genovese che piange perché è lontano da casa! I genovesi girano il mondo gloriosi e trionfanti! - E a quelle parole egli si riscosse, sentì la voce del sangue genovese, e rialzò la fronte con alterezza, battendo il pugno sul timone. - Ebbene, si - disse tra sé, - dovessi anch’io girare tutto il mondo, viaggiare ancora per anni e anni, e fare delle centinaia di miglia a piedi, io andrò avanti, fin che troverò mia madre. Dovessi arrivare moribondo, e cascar morto ai suoi piedi! Pur che io la riveda una volta! Coraggio! - E con quest’animo arrivò allo spuntar d’un mattino rosato e freddo di fronte alla città di Rosario, posta sulla riva alta del Paranà, dove si specchiavan nelle acque le antenne imbandierate di cento bastimenti d’ogni paese.


Poco dopo sbarcato, salì alla città, con la sua sacca alla mano, a cercare un signore argentino per cui il suo protettore della Boca gli aveva rimesso un biglietto di visita con qualche parola di raccomandazione. Entrando in Rosario gli parve d’entrare in una città già conosciuta. Erano quelle vie interminabili, diritte, fiancheggiate di case basse e bianche, attraversate in tutte le direzioni, al disopra dei tetti, da grandi fasci di fili telegrafici e telefonici, che parevano enormi ragnateli; e un gran trepestio di gente, di cavalli, di carri. La testa gli si confondeva: credette quasi di rientrare a Buenos Aires, e di dover cercare un’altra volta il cugino. Andò attorno per quasi un’ora, svoltando e risvoltando, e sembrandogli sempre di tornar nella medesima via; e a furia di domandare,