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d’acqua smisurata. Passava in mezzo a lunghe isole, già nidi di serpenti e di tigri, coperte d’aranci e di salici, simili a boschi galleggianti; e ora infilava stretti canali, da cui pareva che non potesse più uscire; ora sboccava in vaste distese d’acque, dell’aspetto di grandi laghi tranquilli; poi daccapo fra le isole, per i canali intricati d’un arcipelago, in mezzo a mucchi enormi di vegetazione. Regnava un silenzio profondo. Per lunghi tratti, le rive e le acque solitarie e vastissime davan l’immagine d’un fiume sconosciuto, in cui quella povera vela fosse la prima al mondo ad avventurarsi. Quanto più s’avanzavano, e tanto più quel mostruoso fiume lo sgomentava. Egli immaginava che sua madre si trovasse alle sorgenti, e che la navigazione dovesse durare degli anni. Due volte al giorno mangiava un po’ di pane e di carne salata coi barcaioli, i quali, vedendolo triste, non gli rivolgevan mai la parola. La notte dormiva sopra coperta, e si svegliava ogni tanto, bruscamente, stupito della luce limpidissima della luna che imbiancava le acque immense e le rive lontane; e allora il cuore gli si serrava. - Cordova! - Egli ripeteva quel nome: - Cordova! - come il nome d’una di quelle città misteriose, delle quali aveva inteso parlare nelle favole. Ma poi pensava: - Mia madre è passata di qui, ha visto queste isole, quelle rive, - e allora non gli parevan più tanto strani e solitari quei luoghi in cui lo sguardo di sua madre s’era posato... La notte, uno dei barcaiuoli cantava. Quella voce gli rammentava le canzoni di sua madre, quando l’addormentava bambino. L’ultima notte, all’udir quel canto, singhiozzò. Il barcaiuolo s’interruppe.