in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno e di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli. ― Detto questo s’alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte: ― Ernesto Derossi! ― quello che ha sempre il primo premio. Derossi s’alzò. ― Vieni qua, ― disse il maestro. Derossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese. ― Come primo della scuola, ― gli disse il maestro, ― dà l’abbraccio del benvenuto, in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria. ― Derossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: ― Benvenuto! ― e questi baciò lui sulle due guancie, con impeto. Tutti batterono le mani. ― Silenzio! ― gridò il maestro, ― non si batton le mani in iscuola! Ma si vedeva ch' era contento. Anche il calabrese era contento. Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: ― Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant’anni e trentamila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno