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Ventisette giorni durò il viaggio! Ma gli ultimi furono i migliori. Il tempo era bello e l’aria fresca. Egli aveva fatto conoscenza con un buon vecchio lombardo, che andava in America a trovare il figliuolo, coltivatore di terra vicino alla città di Rosario; gli aveva detto tutto di casa sua, e il vecchio gli ripeteva ogni tanto, battendogli una mano sulla nuca: - Coraggio, bagai, tu troverai tua madre sana e contenta. - Quella compagnia lo riconfortava, i suoi presentimenti s’erano fatti di tristi lieti. Seduto a prua, accanto al vecchio contadino che fumava la pipa, sotto un bel cielo stellato, in mezzo a gruppi d’emigranti che cantavano, egli si rappresentava cento volte al pensiero il suo arrivo a Buenos Aires, si vedeva in quella certa strada, trovava la bottega, si lanciava incontro al cugino: - Come sta mia madre? Dov’è? Andiamo subito! - Andiamo subito; - correvano insieme, salivano una scala, s’apriva una porta... E qui il suo soliloquio muto s’arrestava, la sua immaginazione si perdeva in un sentimento d’inesprimibile tenerezza, che gli faceva tirar fuori di nascosto una piccola medaglia che portava al collo, e mormorare, baciandola, le sue orazioni.


Il ventisettesimo giorno dopo quello della partenza, arrivarono. Era una bella aurora rossa di maggio quando il piroscafo gittava l’àncora nell’immenso fiume della Plata, sopra una riva del quale si stende la vasta città di Buenos Aires, capitale della Repubblica Argentina. Quel tempo splendido gli parve di buon augurio. Era fuor di sé dalla gioia e dall’impazienza. Sua madre era a poche miglia di distanza