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4 ottobre.

Egli si voltò tutt’a un tratto; il ragazzo risedette d’un colpo, e restò lì, col capo basso, ad aspettare il castigo. Il maestro gli pose una mano sul capo e gli disse: ― Non lo far più. ― Nient’altro. Tornò al tavolino e finì di dettare. Finito di dettare, ci guardò un momento in silenzio; poi disse adagio adagio, con la sua voce grossa, ma buona: ― Sentite. Abbiamo un anno da passare insieme. Vediamo di passarlo bene. Studiate e siate buoni. Io non ho famiglia. La mia famiglia siete voi. Avevo ancora mia madre l’anno scorso: mi è morta. Son rimasto solo. Non ho più che voi al mondo, non ho più altro affetto, altro pensiero che voi. Voi dovete essere i miei figliuoli. Io vi voglio bene, bisogna che vogliate bene a me. Non voglio aver da punire nessuno. Mostratemi che siete ragazzi di cuore; la nostra scuola sarà una famiglia e voi sarete la mia consolazione e la mia alterezza. Non vi domando una promessa a parole; son certo che, nel vostro cuore, m’avete già detto di sì. E vi ringrazio. ― In quel punto entrò il bidello a dare il finis. Uscimmo tutti dai banchi zitti zitti. Il ragazzo che s’era rizzato sul banco s’accostò al maestro, e gli disse con voce tremante: ― Signor maestro, mi perdoni. ― Il maestro lo baciò in fronte e gli disse: ― Va’, figliuol mio.


una disgrazia

21, venerdì.


L’anno è cominciato con una disgrazia. Andando alla scuola, questa mattina, io ripetevo a mio padre quelle parole del maestro, quando vedemmo la strada piena di gente, che si serrava davanti alla porta della