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il nostro maestro. 3

giorno. Ancora nove mesi. Quanti lavori, quanti esami mensili, quante fatiche! Avevo proprio bisogno di trovar mia madre all’uscita, e corsi a baciarle la mano. Essa mi disse: ― Coraggio, Enrico! Studieremo insieme. ― E tornai a casa contento. Ma non ho più il mio maestro, con quel sorriso buono e allegro, e non mi par più bella come prima la scuola.

il nostro maestro

18, martedì


Anche il mio nuovo maestro mi piace, dopo questa mattina. Durante l’entrata, mentre egli era già seduto al suo posto, s’affacciava di tanto in tanto alla porta della classe qualcuno dei suoi scolari dell’anno scorso, per salutarlo; s’affacciavano, passando, e lo salutavano: ― Buon giorno, signor maestro. ― Buon giorno, signor Perboni; ― alcuni entravano, gli toccavan la mano e scappavano. Si vedeva che gli volevan bene e che avrebbero voluto tornare con lui. Egli rispondeva: ― Buon giorno, ― stringeva le mani che gli porgevano; ma non guardava nessuno; ad ogni saluto rimaneva serio, con la sua ruga diritta sulla fronte, voltato verso la finestra, e guardava il tetto della casa di faccia, e invece di rallegrarsi di quei saluti, pareva che ne soffrisse. Poi guardava noi, l’uno dopo l’altro, attento. Dettando, discese a passeggiare in mezzo ai banchi, e visto un ragazzo che aveva il viso tutto rosso di bollicine, smise di dettare, gli prese il viso fra le mani e lo guardò; poi gli domandò che cos’aveva e gli posò una mano sulla fronte per sentir s’era calda. In quel mentre, un ragazzo dietro di lui si rizzò sul banco e si mise a fare la marionetta.