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Cosí rapida diffusione del Saggio obbligò il Cuoco a darne nel 1806, presso Francesco di Giovan Battista Sonzogno di Milano, una seconda edizione1 (tipograficamente assai piú brutta e scorretta della prima). Nella quale mi sembra cosa affatto naturale che l’autore, tornando dopo cinque anni (ciascuno dei quali, in quel periodo cosí fecondo di mutamenti, valeva per dieci) sull’opera sua, v’introducesse non soltanto alcuni ritocchi di forma e non poche giunte, ma ancora parecchie correzioni sostanziali, particolarmente nei giudizi. E non so davvero spiegarmi come da taluno si sia potuto attribuire tutto ciò a brutta incostanza, o, per dir la parola esatta, a opportunismo politico, che avrebbe fatto diventare il Cuoco, da repubblicano, monarchico; tanto monarchico, anzi, da aver voluto anche lui bruciare un granello d’incenso all’idolo che allora si venerava su tutti gli altari. Non è certo il caso di riaprire un dibattito (chiuso assai efficacemente dal Romano2) sul voluto «repubblicanismo» del Cuoco. Per quel che riguarda la seconda redazione del Saggio, dar dell’adulatore al Cuoco sol perché parli a Napoleone col linguaggio dovuto a tanto uomo (egli che, invece di calcar la mano, com’è avrebbe fatto un adulatore per davvero, su Ferdinando e Carolina, attenua, almeno nella forma, i giudizi precedentemente espressi su di loro), mi sembra una piccineria; — dargli del voltabandiere, sol perché tenne a far sparire dalla seconda edizione anche la piú piccola traccia di quel gergo tribunizio, di cui si abusò tanto durante la Rivoluzione, mi sembra un confondere le parole con le cose; — maravigliarsi infine perché dopo cinque anni si possa parlare e giudicare di una catastrofe con animo ben diverso da quello con cui se ne parla e giudica nell’immediatezza (che è sempre un po’ tumultuaria) del dolore e dello schianto da essa suscitati, mi sembra ignorare che cosa sia il cuore umano. Insomma, io non so come si possa non aderire pienamente alle conclusioni assai sennate del Romano3: che, cioè, solo scopo del Cuoco, nel fare quei mutamenti, fosse stato quello di «togliere alla sua opera ogni traccia di passionalitá personale e, con piú esatto giudizio, colpire il malgoverno del suo paese in tutte le sue manifestazioni, nel re e nella regina, similmente che ne’ perfidi consiglieri, in tutto il suo