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xxxi - organizzazione delle province 145

all’energia repubblicana, parlandole troppo altamente di una nazione straniera, che non ancora conosceva se non perché era stata vincitrice; si urtò tutto ciò che i popoli hanno di piú sacro, i loro dèi, i loro costumi, il loro nome. Non mancò qualche malversazione, non mancò qualche abuso di novella autoritá, che risvegliava gli spiriti di partito, non mai estinguibili tra le famiglie principali dei piccioli paesi. Gli animi s’inasprirono. Il secondo governo vide il male che nasceva dall’errore del primo: Abamonti specialmente richiamò quanti ne potette di questi tali democratizzatori. Ma il male era giá troppo inoltrato; il vincolo sociale dei dipartimenti erasi giá rotto, poiché si era giá tolta l’uniformitá della legge e la riunione delle forze: non mancava che un passo per la guerra civile, ed infatti poco tardò a scoppiare.

Come no? Una popolazione scosse il giogo del giovanetto; le altre la seguirono: le popolazioni che eran repubblicane, cioè che aveano avuta la fortuna di non aver democratizzatori o di averli avuti savi, si armarono contro le insorgenti. Ma queste aveano idee comuni, poiché quelle dell’antico governo eran comuni a tutte; s’intendevano tra loro; le loro operazioni erano concertate. Nessuno di questi vantaggi avevano le popolazioni repubblicane. Le antiche autoritá costituite, che conservavano tuttavia molto potere, erano, almeno in segreto, per le prime. Qual meraviglia se, dopo qualche tempo, le popolazioni insorgenti, sebbene sulle prime minori di numero e di forze, oppressero le repubblicane?

Si volle tenere una strada opposta a quella della natura. Questa forma le sue operazioni in getto, ed il disegno del tutto precede sempre l’esecuzione delle parti: da noi si vollero fare le parti prima che si fosse fatto il disegno.

V. Cuoco, Saggio storico. 10