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xix - quante erano le idee della nazione? 105

guardie civiche si organizzino»... Qual gruppo d’idee che il popolo o non intende o non cura! «I destini d’Italia debbono adempirsi.» «Scilicet id populo cordi est: ea cura quietos sollicitat animos». «I pregiudizi, la religione, i costumi»... Piano! mio caro declamatore; finora sei stato solamente inutile, ora potresti esser anche dannoso1. Il corso delle idee è quello che deve dirigere il corso delle operazioni e determinare il grado di forza negli effetti. Le prime idee che si debbono far valere sono le idee di tutti; quindi le idee di molti; in ultimo luogo le idee di pochi. E, siccome coloro che dirigono una rivoluzione sono sempre pochi di numero ed hanno piú idee degli altri, perché veggono piú mali e comprendono piú beni, cosí molte volte è necessario che i repubblicani per istabilir la repubblica si scordino di loro stessi. Molti mali soffrí per lungo tempo Bruto, moltissimi ne previde, ma, finché fu solo a soffrire ed a prevedere, tacque; molti ne soffrirono i patrizi prima che si lagnasse il popolo; finalmente il fatto di Lucrezia fece ricordare ad ognuno che era marito: allora Bruto parlò prima al popolo e lo mosse, poscia parlò al senato, e, quando la rivoluzione fu compita, ascoltò se stesso. Tutto si può fare: la difficoltá è solo nel modo. Noi possiamo giugnere col tempo a quelle idee alle quali sarebbe follia voler

  1. Questo linguaggio può star bene in bocca di un conquistatore che voglia nobilitare le sue conquiste, di un retore che parli ad un’adunanza di oziosi, di un filosofo che parli agli altri filosofi; potrá esser anche il linguaggio dello storico che trasmetta alla posteritá i risultati degli avvenimenti: ma non deve esser mai il linguaggio di un uomo che parli al popolo e voglia muoverlo. Noi abbiamo perduta ogni idea dell’eloquenza popolare: la nostra non è che l’eloquenza delle scuole; e questa è la ragione per cui piú non si veggono tra noi ripetuti quegli effetti che appena crediamo negli antichi. Dopo essersi or da pedanti or da eruditi or da filosofi analizzato il meccanismo del discorso, calcolata la sua forza, fissati i princípi per dirigerlo onde produca il massimo effetto, mi par che ancora resti a farsi un libro in cui si calcoli la forza dell’eloquenza non sull’individuo ma sulle nazioni, e si vegga il rapporto che lo stato della nazione può aver sull’eloquenza, e la natura di questa sullo stato di quella. Si conoscerebbe allora qual differenza vi sia tra i pomposi proclami che dall’Ottantanove inondano l’Europa, e la forza segreta ma irresistibile. Pericle tuonava, fulminava, sconvolgeva la Grecia intera, ed i figli d’Isacco e d’Ismaele si dividevano l’impero della terra e de’ secoli.