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di questi avremo, tanto minor numero avremo ancora di pretesti, di cagioni, di occasioni di guerre, di persecuzioni, di desolazioni. Ora, ritornando allo stato attuale dell’Europa, io veggo stabilirsi due massime, garanti di pace piú lunga e di guerre piú umane. La prima è che una nazione non debba mai mescolarsi in ciò che avviene nell’interno di un’altra. Se questa massima fosse stata seguita, né la Convenzione nazionale avrebbe proclamata la democratizzazione universale dell’Europa, né i sovrani la servitú della Francia. La seconda, conseguenza della prima, che gl’imperi si acquistano col valore e colla virtú e si conservano colle stesse arti. I benefici resi alla patria sono i soli veri titoli ad acquistarli, a conservarli: quando si hanno questi titoli, gl’imperi non si perdono mai; e, quando non si hanno, ciò che si può dire di piú ragionevole e piú glorioso è ripetere le ultime parole di Dario: — Poiché io piú non regno, fate, o dèi, che almeno regni Alessandro. — Mancano dunque, dopo la rivoluzione francese, due grandi pretesti di guerra. Rimarrebbero due altri: i. la bilancia politica dell’Europa; 2. la gelosia del commercio. Vedremo quale sia anche per questi lo stato delle nostre idee.

VII

La bilancia politica dell’Europa è cangiata. Gl’inglesi continuano a ripeterne il nome; ma la cosa da lungo tempo non vi è piú.

Non vi è piú in Europa una sola potenza preponderante, quale fu la Spagna nell’epoca di Carlo quinto e di Filippo secondo e la Francia nel secolo di Luigi decimoquarto. Non è giá che la Francia dopo la pace di Luneville non sia piú potente di quello che era dopo la pace di Nimega; ma, se la sua potenza assoluta è maggiore, è molto minore la potenza relativa, perché, in proporzione, le altre potenze hanno acquistato un aumento maggiore. L’Inghilterra, dall’epoca di Guglielmo terzo fino al principio del regno di Giorgio terzo, avea raddop-