Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/267

CL. — Politica (n. 201, 23 decembre).

Contro un libercolo pubblicato a Londra dal giudice Rogets per commissione del ministero inglese. * Si vede in esso dimostrato fino all’evidenza il segreto della nostra rapacitá e della debolezza nostra. Si dimostra che dobbiamo esser ingiusti perchè siam deboli. Questa massima nella morale pubblica vale quanto nella morale privata la massima: — Son povero: dunque ho diritto a rubare. — Qualunque nazione non voglia soffrire le nostre ingiustizie deve riputarsi nostra nemica. In conseguenza noi non la considereremo se non per quel lato pel quale ci può far male. Se non ce ne può fare, la disprezzeremo: reclami pure a sua voglia, noi continueremo a far ciò che ci piace. Questo sistema sembra orribile: eppure è il transunto fedele del libro di Rogets».

CLI. — I templari, tragedia del Reynouard, traduzione italiana, con introduzione, di Francesco Salfi (n. 205, 27 decembre). Porsi a giudicar questa tragedia secondo le * regole» sarebbe inutile. «Mille tragedie composte secondo tutti li precetti di Aristotele ci annoiano; molte, nelle quali nessuno de’ precetti è osservato, formano per secoli interi l’onore di un teatro e la delizia di un popolo intero. I precetti servon piú ad evitare i difetti che ad accrescer le bellezze; ed il pregio di un’opera non consiste tanto nel minor numero de’ primi quanto nel maggior numero delle seconde... Quegli stessi Che conoscono i precetti, se hanno ancora un’anima, non possono resistere all’ascendente del genio. Avranno un bel dire che essi non prestan fede alle stregonerie, ai maghi, ai morti risuscitati ; che * Medea non deve trucidare i figli al cospetto del popolo ’; che non vi debbono esser personaggi episodici; che tutta l’azione deve esser ristretta in un sol giorno, in un sol luogo: allo spettacolo delle scelleraggini di Macbeth, essi fremeranno; inorridiranno all’idea di quel pugnale che quell’empio vede tra le ombre. Quella voce che Macbeth avea inteso nell’atto di commettere il piú orribile delitto, quella voce che gli diceva: — Ferisci, ferisci, Macbeth: tu uccidi il tuo riposo! Thane di Cadwor, tu non dormirai piú ! — quella voce non rintronerá nel piú profondo del loro cuore? e l’ombra del tradito Banco non la vedranno essi sedere ad una mensa piú scellerata di quella di Atreo? e quella scellerata donna che non può lavar quella ‘ macchia di sangue ’ dalle sue mani, non fará tremar tutt’i nervi ed arricciar tutti i capelli? Dopo ciò, i precettisti torneranno a casa e comporranno una dottissima dissertazione per dimostrare che essi hanno avuto torto d’intenerirsi e di fremere».

CLII. — Principi del diritto di natura e delle genti di Ignazio Martignoni, Como, Ostinelli, 1805, 2 volumi (n. 206, 28 decembre). < Evvi una setta di filosofi (non parlo de’ sofisti) i quali credono i precetti della morale doversi dimostrare indipendentemente dall’esistenza di