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Aristotele, non si ritrova per l’ordinario che nella classe media di una nazione, che è sempre ed in ogni luogo la classe degli ottimi: la plebe ed i grandi sono, sempre e da per tutto, o ineducata o corrotti. Or, quanto piú a questa classe media è facile di salire a grandezza, tanto piú si eserciterá il gusto. Ovunque essa rimane nella miseria, ne avverrá che i grandi avranno mezzi da proteggere le arti, senza aver il gusto per giudicarle; i medi avranno il gusto e non avranno i mezzi. Le arti o non saranno protette o lo saranno male, perché, per quell’eterna natura di tutti i grandi, i quali non sono grandi uomini, sará preferito prima il ricco al bello, poscia il difficile al semplice, finalmente l’artista all’arte.

So che molti troveranno a ridire contro queste idee. Esse sono conseguenze de’ principi di Vico sul corso politico delle nazioni. È certo, però, che Giusti le conferma coll’analisi della storia. È certo che esse conducono alla conseguenza che, a coltivar con profitto le belle arti, ci bisogna mente e cuore, sapienza e virtú, tanto nella nazione perché offra modelli, quanto nell’artefice perché sappia sentire ed imitare la bellezza de’ modelli suoi. Chi potrá negare tale conseguenza? Chi potrá non congratularsi coll’ Italia, vedendo un eroe grandissimo proteggere le belle arti nel tempo istesso che ridesta e fomenta quella virtú e quel valore il quale «negl’italici cuor non è ancor morto»? 2 settembre 1805.