Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/205

aveano un non so che di piú grandioso, quasi di piú virile che le donne dipinte da Parrasio, le quali, dall’altra parte, erano piú delicate e piú graziose; non altrimenti che le donne che viveano in Crotone e in Eraclea differivan dalle abitatrici della Ionia. Che gioverebbe ad un artefice osservar due o tre volte in sua vita la físonomia di Apollo e l’espressione del Laocoonte , se in tutto il rimanente della vita non vedesse che visi di sbirri e contorsioni al modo degli ottentotti? Un tale artefice non rassomiglierebbe egli ad un uomo il quale della sua giornata spendesse tre ore ad imparare e ventuna a disimparare? Quest’uomo sará artefice o cattivo o pieno di affettazione. Or questa, diciain cosí, universale físonomia ed atteggiamento di un popolo non si cangia ella, cangiandosi quella del maggior numero degli individui che la compongono? E nell’ individuo la físonomia e le maniere non si cangiano a misura della maggiore o minor nobiltá delle idee e degli affetti che nudrono, che sentono? E queste idee e questi affetti potranno volgersi nella mente, sentirsi nel cuore, senza produrre nel tempo istesso delle grandi e nobili azioni in molti, senza ispirare genio d* imitazione in • tutti? Non saranno questi i migliori modelli che si possano avere da un artefice? Crediamo noi che le fisonomie e le maniere di Platone, di Archita, di Timeo, di Aristotele, di Pericle, di Alcibiade, di Temistocle, di Alessandro fossero fisonomie e maniere dozzinali, o valessero per gli artefici di quella etá meno di un busto e di un gesso? Dicasi lo stesso del secolo di Leon decimo. Quali sono le fisonomie e le maniere nostre? O nessuna, perché noi nulla facciamo; o basse, perché né facciamo né meditiamo mai cose grandi, o, se, vogliamo nobilitarle, privi, come siamo, delle idee del vero nobile, le componiamo o coll’insensata ferocia dello sbirro o coll’affettato orgoglio di un cortegiano. Ecco perché spesse volte l’artefice, credendo dipingere l’uomo grande, dipinge il «gran signore». Io non fo che accennare i punti principali che Giusti ha trattati. Circa al gusto, egli osserva che esso è in gran parte figlio della ben istituita educazione, per la quale si sviluppano i germi che ce ne avea dati la natura. Ma la vera educazione, dice