Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
FACOLTÀ LEGALE.
Non vi è facoltá in cui siasi tanto abusato di cattedre superflue, mentre mancavano le necessarie. Trascuravansi tutti
gli studi preparatòri: i giovani, senza cognizione di lingua,
di storia, di filosofia, si spingevano immaturi ad uno studio
in cui la cognizione della lingua era necessaria tanto per intendere la legge quanto per ben usarne; quella della storia era
indispensabile, perché, senza di essa, non s’intendono mai le
circostanze nelle quali una legge è stata pubblicata, ed in conseguenza s’ignora sempre il vero spirito del legislatore; la cognizione finalmente della filosofia era utile per applicare la
legge al fatto, poiché è impossibile che le leggi sien tante
quanti sono i fatti umani, ed è inevitabile l’uso dell’analisi e
dell’analogia. Che ne avveniva da ciò? Invece di giureconsulti
avevansi de’ legulei, de’ rabuli, de’ casisti: non insegnavansi
giá le vie di giudicare, ma bensí quelle di litigare. Osservando
da vicino tanti uomini i quali millantavansi giureconsulti, erasi
tentato di dire con Cicerone: «Quid est tantum quantum ius
civitatisf Quid autem tam exiguum quam munus eorum, qui
consuluntur?». E nacque da ciò quel disparere, che quasi
eterno vi è stato tra i giureconsulti e coloro che non erano
tali, sulle difficoltá degli studi di tale scienza, sostenendo i
primi esser difficilissima, facilissima i secondi. La differenza
delle opinioni nasceva dalla differenza de’ metodi che si seguivano. Il giureconsulto ordinario, studiando ed accumulando
casi sopra casi, rassomigliava ad un pedante che voglia dare
e ritenere a memoria tutte le parole di un vocabolario: gli
mancavano i principi generali, pe’ quali diveniva pivi facile
l’intelligenza di ogni caso, piú facile l’associazione e la rimembranza di tutti : la sua fatica era improba, e la vita di
un uomo non era sufficiente. Cicerone, al contrario, piena
la mente di tali principi, diceva: «Triduo me iureconsultum