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BELLE LETTERE E FILOSOFIA.


La filosofia, della quale qui si parla, non è presa in tutta l’estensione del significato che un tal nome deve avere. In tal caso comprenderebbe tutto lo scibile umano, di cui non vi è parte che chiamar non si possa «filosofia», quando si occupa a rintracciare le cagioni delle cose. Ma qui s’intende parlar solamente di quella parte della filosofia che una volta chiamavasi «istrumentale», e che si occupa delle operazioni del nostro spirito e del modo di regolarle; parte che deve precedere tutte le altre, e che a niun’altra particolarmente si può unire. Di essa abbiam giá a lungo ragionato, parlando dell’istruzione inedia: abbiamo ivi indicate le ragioni per le quali riserbavansi a questa facoltá l’ideologia e l’etica, c ripeiere adesso quelle stesse ragioni sarebbe superfluo.

A queste due cattedre noi aggiugniamo quella dell’eloquenza o, per meglio dire, della filosofia dell’eloquenza, la quale chiamar si potrebbe il complemento della filosofia istrumentale; poiché il retto uso della parola è grandissimo istrumento ad istruir noi stessi ed unico ad istruir gli altri. Le altre parti della filosofia istrumentale somministrano gl’istrumenti all’individuo; questa li somministra a tutta la specie. Noi non neghiamo che alcuni troveranno questa cattedra inutile, perché contraria agli antichi metodi d’insegnar la rettorica; altri, perché per mezzo di essa non si faranno mai degli uomini eloquenti.

Ai primi la risposta è facile. È da qualche tempo che la filosofia si è impadronita delle materie dell’eloquenza. Questa, che i pedanti vorrebbero far credere un’usurpazione, non è che una legittima rivindica di ciò che la filosofia possedeva ne’ tempi antichi, quando i precettori di eloquenza erano i Piatoni, gli Aristoteli, i Ciceroni ed i Quintiliani. O bene o male che ciò si sia fatto, si sono ricercate le ragioni di molti