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B. 86), ove un anonimo (e forse Pietro Colletta) accanto alle iniziali «N. Q.» scrisse: «Nicola Quagliatili, amicissimo dell’autore». Da un inedito decreto (Archivio di Stato di Napoli, Decreti originali, voi. 86, n. 39) appare poi che nel decembre 1814 il Quagliatili era console napoletano in Toscana.

XII. — Michele o, meglio, Michelantonio Cuoco, nato a Civita nel 1776, morto a Napoli il 4 giugno 1852, era l’unico fratello del Nostro: fratello infingardissimo, che sfruttava egregiamente l’arrendevolissimo Vincenzo, col chiedergli di continuo danaro e, dopo del 1806, anche impieghi, di cui non era mai soddisfatto, perchè, sinecure che fossero, lo costringevano a qualche fatica. Ciò non ostante, fini, circa il 1813, con l’entrare in magistratura e giunger nel 1848 al grado di consigliere della Corte suprema di Giustizia di Napoli, salvo, l’anno dopo, a esser collocato a riposo. XIII. — Una legge dell’ n fiorile anno X (26 aprile 1801), da entrare in vigore nell’anno XII (sett. 1803-sett. 1804), stabiliva che in ciascuna sede di tribunale del Piemonte si fondasse un liceo nazionale, ove s’insegnassero lingue antiche, rettorica, morale ed elementi di scienze fisicomatematiche. Un Liceo nazionale a Torino doveva, per altro, esistere fin dal 1802, se non anche prima, dal momento che nel 1802 se ne pubblicava un Règlemenl a cura del «préfet du département de l’Éridan». XIV. — I Corbo furono una famiglia aviglianese tutta di patrioti. Tali i tre figli di Francesco Saverio (Gerardo Antonio, Francescantonio e Carlo), su cui interessanti notizie, ancora inedite, ha raccolte Giustino Fortunato; tali i loro cugini (figli di Nicola Maria) Diodato e Giulio, cosí cari al C. — Di Diodato s’apprende ora che il 9 decembre 1813 fu nominato socio onorario delle Societá economiche di Calabria cilra e Basilicata (Arch. di Stato di Napoli, Decr. orig., voi. 74, n. 12152). — Giulio, nato circa il 1778, «commissionato» dal governo repubblicano di democratizzare A vigliano, ove giunse il 3 febbraio 1799, e perciò processato e condannato all’esilio dalla Giunta di Stato, dopo d’aver peregrinato per la Francia, ove, a quanto pare, ebbe anche avventure amorose, si risolse ad avvalersi dell’amnistia sancita dalla pace di Firenze (marzo 1801) per tornare in patria. E il C. approfittò del suo passaggio per Milano per consegnargli cosí la presente lettera come quella che segue. — 11 colonnello don Scipione La Marra fu un reazionario terribile per severitá, ma uomo di coscienza. Innanzi a lui par che conducessero nel 1799 il C., e che questi, a sua difesa, si professasse «cisalpino», cioè (com’è da credere) «non giacobino» o «antigiacobino»: che, come testimoniano ampiamente i suoi scritti, era cosa vera. — I «barbetti di Piemonte»: i valdesi valligiani del Pellice e del elusone, restati durante l’occupazione francese fedeli a casa 5avoia.

XV. — Quest’altra lettera autobiografica era stata giá preannunziala dal C. al fratello in una precedente del 14 settembre 1801, recante sull’indirizzo, come tutte le altre a Michele Cuoco, il nome di un Carlo